AtelierVANLIESHOUT
Female Slave University
Gió Marconi, Milan
27.03.–28.04.2007
IT Atelier van Lieshout
Female Slave University

Inaugurazione: martedì 27 marzo 2007 dalle 19 alle 21
28 marzo - 28 aprile 2007        
martedì - sabato; 11-19



La galleria Giò Marconi è lieta di presentare al pubblico FEMALE SLAVE UNIVERSITY la quarta personale di Atelier Van Lieshout, situato a Rotterdam e diretto dall’artista Joep van Lieshout. Atelier Van Lieshout è attivo, a livello internazionale, nel campo dell’arte contemporanea, del design e dell’architettura, realizzando opere d’arte che indagano e giudicano la natura commerciale della società contemporanea.

FEMALE SLAVE UNIVERSITY è situata all’interno di un territorio vasto oltre 50 kmq su cui si erge SLAVE CITY: un sinistro progetto utopistico, molto razionale, tuttavia efficiente e proficuo ( 7,8 milioni di profitto netto all’anno) ideato da Atelier Van Lieshout nel 2005 e in continua crescita. Appeso al soffitto, realizzato con cavi d’acciaio, questo elegante modellino (520x450x150cm), polo educativo di SLAVE CITY, è costituito da 12 auditoriums disposti un po’ inclinati uno sopra l’altro che sovrastano il piano terra della galleria. Al suo interno si intravedono perfette miniature che riproducono alcune delle infrastrutture interne della comunità: sale conferenze, dormitori, una sala professori. I professori sono gli unici, in questo edificio, ad essere retribuiti per il loro lavoro. Tutte le altre stanze sono riservate agli slaves che vengono istruiti per essere poi impiegati in questa fantastica struttura lavorativa. La FEMALE SLAVE UNIVERSITY mette a disposizione aule per circa 1900 studenti, garantisce circa 650 posti di lavoro, 650 dormitori e quasi 120 toilet units.

Nelle altre sale della galleria sono esposti alcuni modellini realizzati in cartone, poliestere e acciaio, disegni, acquarelli, ritraggono altri elementi importanti della struttura interna della comunità: la torre serbatoio, l’ospedale, i bordelli maschili e femminili; e poi un tavolo con del vasellame, alcune teste di ceramica.  
Le sculture, i modelli e i disegni testimoniano la vita condotta in questa città immaginaria dai contorni futuristici. Gli abitanti di SLAVE CITY lavorano secondo precise direttive dando vita ad una società estremamente efficiente ma senza libertà; in essa i valori morali tradizionali, l’etica, l’estetica sono totalmente stravolti, il concetto classico di comunità è del tutto messo in discussione; cibo, energia, economia, organizzazione, management, mercato finanziario sono messi sottosopra, mescolati, riformulati, ridisegnati in una città di 200.000 abitanti.
Gli “schiavi” di SLAVE CITY si chiamano partecipants; lavorano sette ore al giorno concentrandosi sui vantaggi della tecnologia, impiegati nel telemarketing e nella programmazione dei computers. Dopo il lavoro d’ufficio dedicano altre sette ore al lavoro dei campi o nelle botteghe al fine di assicurare la sussistenza dell’intera comunità, tre le ore di pausa, sette le ore di sonno.
Il tutto è strutturato in modo che uomini e donne siano separati. Gli abitanti di SLAVE CITY non sono indipendenti, ma la città in sé è totalmente autonoma; garantisce, producendolo, il sostentamento alimentare per tutti, ricicla i rifiuti, è la prima città al mondo (di queste dimensioni) a funzionare senza combustibili fossili importati o elettricità, e ad usare esclusivamente l’energia del sole e del vento o bio-diesel. SLAVE CITY è una città verde che non spreca le risorse ambientali.
Grazie al lavoro altamente strutturato e super efficiente dei suoi abitanti il profitto netto di SLAVE CITY ogni anno si aggira intorno agli 8 milioni di dollari sviluppando la cultura capitalista esistente e portando il concetto di produttività e profitto ai massimi livelli. Ad eccezione dei numerosi e indispensabili complessi per il pubblico servizio la città esiste anche una lussuosa sede centrale, un borgo sicuro ed accogliente per gli impiegati di livello superiore, un centro per l’educazione e la salute, un bordello e un centro d’arte.

Slave City è stata presentata nel 2006 allo Stedelijk Museum di Amsterdam nell’ambito della mostra “Mapping the Studio”; al Distrito Cu4tro di Madrid; all’ Oficina para Proyectos de Arte di Guadalajara;  da Tanya Bonakdar a New York e da Tim van Laere ad Antwerp.

Atelier Van Lieshout  nasce nel 1995, e da allora  ha un programma di mostre molto intenso che lo portano nei più importanti  musei a livello internazionale.  Le loro opere sono state esposte al PS1 e al MOMA di New York, allo Stichting  Museum di Rotterdam, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, alla Kunstverein di Düsseldorf, al MACBA di Barcellona, al Centro per le Arti Contemporanee Luigi Pecci di Prato e in altri importanti spazi pubblici e privati in tutto il mondo. Nel 2001 è stata inaugurata negli spazi del porto di Rotterdam AVL-Ville, il loro progetto più pretenzioso e senza dubbio quello che maggiormente fonde arte e design. Atelier van Lieshout è stato presente con una serie di opere alla  Biennale di Venezia 2003. Nel 2004 ha esposto alla  galleria Tanya Bonakdar di New York e allo Sprengel Museum di  Hannover.
Le altre recenti mostre di Atelier van Lieshout includono: Shangai Biennale, Shangai, 2006 (group); 10th Mostra iNternazionale di Architettura, Venezia, 2006 (group); Museum fur Angewandte Kunst, Vienna, 2005 (solo); Stedelijk Museum CS Amsterdam, 2005 (group). 
EN Atelier van Lieshout
Female Slave University

Opening: Tuesday, March 27th, 2007; 7pm-9pm
March 28 - April 28, 2007
From Tuesday to Saturday; 11am-7pm



SlaveCity is a utopian project, a 21st-century concentration camp with just one purpose: to make profit. It is rational and highly profitable to the tune of 7.8 billion € net profit per year. Values, ethics, aesthetics, morality, food, energy, economic, organization, management and the market are turned upside-down, mixed and reformulated in the design of this town for 200,000 inhabitants.

SlaveCity benefits from the latest technology, participants work in the CallCenter on tele-service such as customer service, ITC, telemarketing and computer programming seven hours a day. After manning the headphones, participants must work in the fields or inside the workshops for seven more hours to maintain the city.
The participants’ efficiency is closely monitored; appropriate measures are taken if they drop below the optimally set level.
SlaveCity is the first “zero energy” town of its size in the world and functions without imported mineral fuels or electricity. Using biogas, solar power, wind energy and bio-diesel covers the energy needs of the city.Everything is majestically recycled, even the participants themselves, whose vital organs are destined for transplantation instead of decaying into dust.
Since no waste products are produced SlaveCity is a green town that does not squander the world’s limited resources.

SlaveCity has three parts: the first is the slave  department, built around a lake. The building include a selection area, a kitchen, a slaughterhouse, the CallCenter, the SlaveUniversity, workshops, PowerPlant, brothels and more. The second part is public and open to people, no slave are allowed. Located here are the headquarters, the art centre, the theatre, sport facilities, hospital, parks and other public leisure facilities.The third part is an ideal community for the employees of SlaveCity, approximately 3000 people who dwell in five different types of houses.

All female part of SlaveCity - the SlaveUniversity is a training centre where the 100,000 female slaves can learn technical, business and communication skills. Equipped with several lecture halls, the university can be reached via earth ramps around the building. There are a total of 1,027 study places; these are used 24 hours a day by the female slaves. While one group sleeps the other works on the land, in the fields or in a workshops. The upper level holds a space for the teachers.

Atelier Van Lieshout (AVL), established in 1995 by Joep van Lieshout, is a multidisciplinary collective that engages in conceiving and producing contemporary art, design and architecture.
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