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André Butzer
n-leben
Inaugurazione: martedì 9 maggio 2006 dalle 19 alle 21
10 maggio - 31 maggio 2006
martedì - sabato; 11-19
André Butzer, nato a Stoccarda nel 1973, ha acquisto fama internazionale grazie al suo peculiare espressionismo fantascientifico. La sua arte è intimamente legata al gioco, alla sperimentazione e all’ignoto come dimensione privilegiata, in cui ritornano incessantemente temi e motivi, in una sorta di “fregio della vita" che scaturisce dalla cultura di massa.
Per la sua prima mostra in Italia, che si tiene alla Galleria Giò Marconi di Milano, l’artista presenta una panoramica della sua produzione, una sorta di riepilogo di tutte le prospettive e delle tematiche che sono emerse finora dalle sue opere.
Butzer concepisce la sua produzione artistica come il lungo svolgimento di una sequenza ininterrotta, l’elaborazione di quell’istante perenne in cui il passato e il futuro coesistono, e in cui si rende possibile un attuale confronto con il dramma, al di là di molte rappresentazioni morali. La fede nell’autonomia del dipinto, dell’opera d’arte, rimane incrollabile, nonostante la nostra abitudine alla produzione seriale, e soprattutto alla vita artificiale, perché' la fede nella deformazione dell’espressione si genera e si attua proprio all’interno di quella modalità. I modelli della cultura visiva non vengono copiati, citati o svalutati, ma riempiti di nuovo significato, rivisitati, rimpaginati, così da diventare nuovi materiali. Diventano “materiali" in una doppia accezione: nel senso del contenuto e del linguaggio formale che ne risulta, il quale però non è ancora utilizzato, e come materiali nel vero senso della parola, ovvero materia liberamente impiegata come colore, fango, aria o carne. Butzer vorrebbe che la sua arte fosse intesa come un monumento che funga da monito, in prospettiva storica, nel quale convergono soprattutto gli aspetti più oscuri e luminosi della storia tedesca e americana. In omaggio al suo unico vero idolo, ovvero Walt Disney, l’artista si rivolge agli abissi e agli splendori dell’esistenza umana, mai però nella veemenza, nei deliri di onnipotenza, ma nell’indolente gesto di impotenza di chi si trova già oltre quell’esistenza, per aspirare a un incarico migliore. Il titolo della mostra N-Leben (Vita su N), è l’abbreviazione di NASAHEIM Leben, cioè “Vita su NASAHEIM", il luogo immaginato da Butzer come sede della NASA, l’organizzazione americana per la navigazione spaziale, e della stazione spaziale di ANAHEIM, da Anaheim, la città d’origine di Disneyland. Il simbolo che l’artista ha concepito per questo luogo è una casa sul cui frontone campeggia una N rossa; è una casa con due finestre ma senza porta d’ingresso. NASAHEIM è quindi inaccessibile: non ci si può entrare, o meglio, non ci si può salire. In un’altra occasione Butzer ha già chiarito che NASAHEIM è un luogo in cui tutta l’arte troverà la sua attuazione, tutti i colpevoli saranno resi innocenti e gli abitanti potranno contemplare gli strumenti di sterminio che giacciono immobili.
Ora l’artista si è incaricato di dipingere questo luogo, o per lo meno la via che vi conduce, principalmente attraverso la rappresentazione dei suoi abitanti. Si tratta di un’impresa audace e aleatoria, sapendo che quel luogo non è raggiungibile. Per questo motivo le sue creazioni sono sempre imbevute di aleatorietà, anche se molte opere sono caratterizzate dall’opulenza cromatica e dall’immagine di un’esistenza utopica sotto cieli azzurri. Nell’opera che da' il titolo alla mostra N-Leben un uomo e una donna sostano su un prato di fronte alla casa-N; sembra che la donna voglia comunicare qualcosa, poiché' gesticola indicando la casa, dove la N, quasi sanguinando, gronda di un color rosso fragola; l’uomo, che nella genealogia dei personaggi di Butzer appartiene alla categoria dell’uomo-vergogna, è seduto o accovacciato al margine inferiore destro, in un atteggiamento che indica rassegnazione o stupidità. Ma il cielo è azzurro, e l’opera sembra dipinta senza sforzo: forse altre opere precedenti hanno richiesto parecchia fatica. Si può confrontare questo dipinto con un altro lavoro esposto in mostra, un’opera del 2003 intitolata Auf der kleinen Wiese (Sul piccolo prato), dove un altro uomo-vergogna accovacciato sull’erba alza il suo braccio monco, in segno di saluto, verso un Friedens-Siemens giallo (Friedens = della pace) che spunta chissà da dove. Assistiamo solo a un breve istante, che precede il vero incontro tra i protagonisti. Probabilmente l’osservatore si aspetta qualcosa di positivo da quell’incontro. Sembra possibile che avvenga una sorta di comunicazione, che però trascende le categorie comunicative che conosciamo. Un dipinto grigio, monocromo, dalla pittura molto pastosa reca il titolo Sep Ruf, il nome di un architetto moderno che progettava edifici in Germania anche all’epoca del Terzo Reich. Nell’opera vediamo solo le tracce di qualcuno che vi ha lasciato dei segni o degli scarabocchi. Butzer definisce i dipinti di questo genere anche come “ritratti" di chi vi ha lasciato delle tracce, in questo caso Sep Ruf, il cui nome compare lungo il margine inferiore, come se lo stesso Ruf avesse firmato. L’opera fa parte di una serie di quattro dipinti monocromi dedicati ad architetti di varie epoche: oltre a Ruf, Ludwig Troost, Ernst Sagebiel e Herbert Rimpl. Butzer presenta questi personaggi come potenziali architetti di Nasaheim, ma rappresenta i loro fallimenti, oppure testimonia, così facendo, il loro fallimento.
Per il ritratto di Aribert Heim l’artista ha scelto un’altra forma di rappresentazione: vediamo ancora un uomo-vergogna, che indossa guanti simili a quelli di Topolino, in posizione eretta, collocato su uno sfondo bianco ma piuttosto maculato. Aribert Heim era un celebre medico nazista, che ha certamente causato la morte di migliaia di persone, anche effettuando degli esperimenti sui pazienti. Aribert Heim fu ritrovato l’anno scorso in Spagna all’età di novantuno anni. Butzer vede il dottor Heim come un altro “ingegnere della morte", al pari di Adolf Eichmann, che l’artista ha già ritratto come fabbricante di pudding alla panna in un’opera esposta a Los Angeles. Un altro dipinto importante è Ohne Titel (Katze) (Senza titolo - gatto) che funge, secondo il cliché', quasi da anello di congiunzione tra il bene e il male: dipinta quasi esclusivamente con i toni del nero, quest’opera quasi completamente monocroma mostra però un gatto, un po’ intristito ma comunque simpatico, che ricorda le sagome dei primi cartoni americani del secolo scorso. L’animale, che si accompagna sempre agli uomini e dunque evoca l’idea di convivenza, si apposta come un’ombra scura sotto di loro e attende che gli sia dato del cibo. Per concludere con il concetto di Heimkunft, coniato da Friedrich Holderlin, che fonde “patria" (Heim) e “futuro" (Zukunft), trovare una patria può essere solo una visione che si perpetua incessantemente nel futuro, dunque la patria non sarà mai presente.
Tra le mostre più importanti:
Der Realismus bereut nichts!, Contemporary Fine Arts, Berlin (2000); ”Aua Extrema”, Museum Kornelimunster, Aachen (2001); Tirana Biennale (2001); Forever Infinite, Black Dragon Society, Los Angeles (2001); Schwarzwaldhochstrasse- der deutsche Sudwesten und die Folgen fur die Kunst, Kunsthalle, Baden-Baden (2002); Hossa, Centro Cultural Andratx, Mallorca (2002); Friedens-Siemense (Teil 1), Galerie Gabriele Senn, Vienna (2002); TODALL!, Galerie Hammelehle und Ahrens, Colonia (2003); Deutsche Malerei 2003, Kunstverein, Frankfurt (2003); Heißkalt, Sammlung Scharpff, Kunsthalle Hamburg (2003);Vom Horror der Kunst, Kunstverein, Graz (2003); Massenfrieden, Patrick Painter Inc., Santa Monica/USA (2004); Sammlung Taschen, Museum Reina Sofia, Madrid (2004); Das Ende vom Friedens-Siemens Menschentraum, Kunstverein Heilbronn (2004); Munch Revisited, Museum am Ostwall, Dortmund (2005); Neverworld Technik, (con Andreas Hofer), Kunstverein Ulm (2005); White Cube Berlin, Palast der Republik, Berlino (2005); La Nouvelle Peinture Allemande, Musée d´Art Moderne, Nimes (2005); Grießbrei fur alle!, Galerie Max Hetzler, Berlino (2005); N-Mädele in Volkstum-Technik, Galerie Christine Mayer, Monaco (2005); Galerie Bernd Kugler, Innsbruck
n-leben
Inaugurazione: martedì 9 maggio 2006 dalle 19 alle 21
10 maggio - 31 maggio 2006
martedì - sabato; 11-19
André Butzer, nato a Stoccarda nel 1973, ha acquisto fama internazionale grazie al suo peculiare espressionismo fantascientifico. La sua arte è intimamente legata al gioco, alla sperimentazione e all’ignoto come dimensione privilegiata, in cui ritornano incessantemente temi e motivi, in una sorta di “fregio della vita" che scaturisce dalla cultura di massa.
Per la sua prima mostra in Italia, che si tiene alla Galleria Giò Marconi di Milano, l’artista presenta una panoramica della sua produzione, una sorta di riepilogo di tutte le prospettive e delle tematiche che sono emerse finora dalle sue opere.
Butzer concepisce la sua produzione artistica come il lungo svolgimento di una sequenza ininterrotta, l’elaborazione di quell’istante perenne in cui il passato e il futuro coesistono, e in cui si rende possibile un attuale confronto con il dramma, al di là di molte rappresentazioni morali. La fede nell’autonomia del dipinto, dell’opera d’arte, rimane incrollabile, nonostante la nostra abitudine alla produzione seriale, e soprattutto alla vita artificiale, perché' la fede nella deformazione dell’espressione si genera e si attua proprio all’interno di quella modalità. I modelli della cultura visiva non vengono copiati, citati o svalutati, ma riempiti di nuovo significato, rivisitati, rimpaginati, così da diventare nuovi materiali. Diventano “materiali" in una doppia accezione: nel senso del contenuto e del linguaggio formale che ne risulta, il quale però non è ancora utilizzato, e come materiali nel vero senso della parola, ovvero materia liberamente impiegata come colore, fango, aria o carne. Butzer vorrebbe che la sua arte fosse intesa come un monumento che funga da monito, in prospettiva storica, nel quale convergono soprattutto gli aspetti più oscuri e luminosi della storia tedesca e americana. In omaggio al suo unico vero idolo, ovvero Walt Disney, l’artista si rivolge agli abissi e agli splendori dell’esistenza umana, mai però nella veemenza, nei deliri di onnipotenza, ma nell’indolente gesto di impotenza di chi si trova già oltre quell’esistenza, per aspirare a un incarico migliore. Il titolo della mostra N-Leben (Vita su N), è l’abbreviazione di NASAHEIM Leben, cioè “Vita su NASAHEIM", il luogo immaginato da Butzer come sede della NASA, l’organizzazione americana per la navigazione spaziale, e della stazione spaziale di ANAHEIM, da Anaheim, la città d’origine di Disneyland. Il simbolo che l’artista ha concepito per questo luogo è una casa sul cui frontone campeggia una N rossa; è una casa con due finestre ma senza porta d’ingresso. NASAHEIM è quindi inaccessibile: non ci si può entrare, o meglio, non ci si può salire. In un’altra occasione Butzer ha già chiarito che NASAHEIM è un luogo in cui tutta l’arte troverà la sua attuazione, tutti i colpevoli saranno resi innocenti e gli abitanti potranno contemplare gli strumenti di sterminio che giacciono immobili.
Ora l’artista si è incaricato di dipingere questo luogo, o per lo meno la via che vi conduce, principalmente attraverso la rappresentazione dei suoi abitanti. Si tratta di un’impresa audace e aleatoria, sapendo che quel luogo non è raggiungibile. Per questo motivo le sue creazioni sono sempre imbevute di aleatorietà, anche se molte opere sono caratterizzate dall’opulenza cromatica e dall’immagine di un’esistenza utopica sotto cieli azzurri. Nell’opera che da' il titolo alla mostra N-Leben un uomo e una donna sostano su un prato di fronte alla casa-N; sembra che la donna voglia comunicare qualcosa, poiché' gesticola indicando la casa, dove la N, quasi sanguinando, gronda di un color rosso fragola; l’uomo, che nella genealogia dei personaggi di Butzer appartiene alla categoria dell’uomo-vergogna, è seduto o accovacciato al margine inferiore destro, in un atteggiamento che indica rassegnazione o stupidità. Ma il cielo è azzurro, e l’opera sembra dipinta senza sforzo: forse altre opere precedenti hanno richiesto parecchia fatica. Si può confrontare questo dipinto con un altro lavoro esposto in mostra, un’opera del 2003 intitolata Auf der kleinen Wiese (Sul piccolo prato), dove un altro uomo-vergogna accovacciato sull’erba alza il suo braccio monco, in segno di saluto, verso un Friedens-Siemens giallo (Friedens = della pace) che spunta chissà da dove. Assistiamo solo a un breve istante, che precede il vero incontro tra i protagonisti. Probabilmente l’osservatore si aspetta qualcosa di positivo da quell’incontro. Sembra possibile che avvenga una sorta di comunicazione, che però trascende le categorie comunicative che conosciamo. Un dipinto grigio, monocromo, dalla pittura molto pastosa reca il titolo Sep Ruf, il nome di un architetto moderno che progettava edifici in Germania anche all’epoca del Terzo Reich. Nell’opera vediamo solo le tracce di qualcuno che vi ha lasciato dei segni o degli scarabocchi. Butzer definisce i dipinti di questo genere anche come “ritratti" di chi vi ha lasciato delle tracce, in questo caso Sep Ruf, il cui nome compare lungo il margine inferiore, come se lo stesso Ruf avesse firmato. L’opera fa parte di una serie di quattro dipinti monocromi dedicati ad architetti di varie epoche: oltre a Ruf, Ludwig Troost, Ernst Sagebiel e Herbert Rimpl. Butzer presenta questi personaggi come potenziali architetti di Nasaheim, ma rappresenta i loro fallimenti, oppure testimonia, così facendo, il loro fallimento.
Per il ritratto di Aribert Heim l’artista ha scelto un’altra forma di rappresentazione: vediamo ancora un uomo-vergogna, che indossa guanti simili a quelli di Topolino, in posizione eretta, collocato su uno sfondo bianco ma piuttosto maculato. Aribert Heim era un celebre medico nazista, che ha certamente causato la morte di migliaia di persone, anche effettuando degli esperimenti sui pazienti. Aribert Heim fu ritrovato l’anno scorso in Spagna all’età di novantuno anni. Butzer vede il dottor Heim come un altro “ingegnere della morte", al pari di Adolf Eichmann, che l’artista ha già ritratto come fabbricante di pudding alla panna in un’opera esposta a Los Angeles. Un altro dipinto importante è Ohne Titel (Katze) (Senza titolo - gatto) che funge, secondo il cliché', quasi da anello di congiunzione tra il bene e il male: dipinta quasi esclusivamente con i toni del nero, quest’opera quasi completamente monocroma mostra però un gatto, un po’ intristito ma comunque simpatico, che ricorda le sagome dei primi cartoni americani del secolo scorso. L’animale, che si accompagna sempre agli uomini e dunque evoca l’idea di convivenza, si apposta come un’ombra scura sotto di loro e attende che gli sia dato del cibo. Per concludere con il concetto di Heimkunft, coniato da Friedrich Holderlin, che fonde “patria" (Heim) e “futuro" (Zukunft), trovare una patria può essere solo una visione che si perpetua incessantemente nel futuro, dunque la patria non sarà mai presente.
Tra le mostre più importanti:
Der Realismus bereut nichts!, Contemporary Fine Arts, Berlin (2000); ”Aua Extrema”, Museum Kornelimunster, Aachen (2001); Tirana Biennale (2001); Forever Infinite, Black Dragon Society, Los Angeles (2001); Schwarzwaldhochstrasse- der deutsche Sudwesten und die Folgen fur die Kunst, Kunsthalle, Baden-Baden (2002); Hossa, Centro Cultural Andratx, Mallorca (2002); Friedens-Siemense (Teil 1), Galerie Gabriele Senn, Vienna (2002); TODALL!, Galerie Hammelehle und Ahrens, Colonia (2003); Deutsche Malerei 2003, Kunstverein, Frankfurt (2003); Heißkalt, Sammlung Scharpff, Kunsthalle Hamburg (2003);Vom Horror der Kunst, Kunstverein, Graz (2003); Massenfrieden, Patrick Painter Inc., Santa Monica/USA (2004); Sammlung Taschen, Museum Reina Sofia, Madrid (2004); Das Ende vom Friedens-Siemens Menschentraum, Kunstverein Heilbronn (2004); Munch Revisited, Museum am Ostwall, Dortmund (2005); Neverworld Technik, (con Andreas Hofer), Kunstverein Ulm (2005); White Cube Berlin, Palast der Republik, Berlino (2005); La Nouvelle Peinture Allemande, Musée d´Art Moderne, Nimes (2005); Grießbrei fur alle!, Galerie Max Hetzler, Berlino (2005); N-Mädele in Volkstum-Technik, Galerie Christine Mayer, Monaco (2005); Galerie Bernd Kugler, Innsbruck