MatthewBRANNON
Grandmothers
Gió Marconi, Milan
13.11.2008–10.01.2009
Grandmothers
Gió Marconi, Milan
13.11.2008–10.01.2009
IT
Matthew Brannon
Grandmothers
Inaugurazione: mercoledì 12 novembre 2008 dalle 19 alle 21
13 novembre - 10 gennaio 2009
martedì - sabato; 11-19
“Sto pensando ad un backstage. A modelle ed attori che si preparano mentalmente per la presentazione, facendo esercizi facciali e di respirazione. Di produttori che guardano il responso del pubblico al di là delle luci. Alle espressioni di annoiata indifferenza. Sto immaginando bende, barelle, cosmetici, tutta una sorta di metaforici clichés per l'inconscio. Pensando a ciò che significa passare ore e ore in analisi. Contando drinks e non calorie. Convinto che non impareremo mai. Quella soddisfazione è una debole motivazione”.
Matthew Brannon, 10/09/08
“In ogni caso, non saremo mai sicuri dove si trovi la fase centrale in questi lavori, cos'è centrale e cosa marginale, cos'è visibile e cos'è reso tale”.
Philip Monk, "More than you know" su Matthew Brannon.
Mercoledì 12 Novembre Giò Marconi presenterà la prima mostra personale in Italia di Matthew Brannon dal titolo Grandmothers. Saranno esposti nuovi lavori che comprendono un wall painting, una scultura, due arazzi e dieci stampe.
Dopo i primi, frustranti tentativi con la pittura, Brannon cominciò con consapevolezza a vagliare i limiti dell'arte e della grafica, creando delle stampe che imitavano la pubblicità allo scopo di far diretto riferimento alla vita cosmopolita contemporanea. In "Grandmothers" Brannon continua quest' esplorazione compiacendosi in particolare con questioni che riguardano l'ambizione e il compromesso.
Se si potesse identificare il nucleo soggettivo della pratica tortuosa di Brannon, questo consisterebbe proprio nelle stampe. Ognuna di esse, scrupolosamente realizzata in edizione unica, segue la semplice formula dell'accompagnare l'immagine al testo. Normalmente il ruolo del testo in questo genere di composizioni servirebbe a chiarire il significato dell'immagine, ma non è questo il caso di Brannon. Il testo invece complica e ostruisce l'interpretazione intuitiva. La nostra valutazione del significato della stampa conduce verso una lettura più psicologica, rivolta a soggetti come l'ansia di carriera, l'alcolismo, disavventure sessuali e la negazione. Le nostre elucubrazioni analitiche vengono presentate con immagini di passaporti, chewing gum, cosmetici, scarpe, bende. Un'altra parte in divenire del corpo del lavoro continua questa non definita divisione tra la decorazione e le belle arti sottoforma di arazzi. Gli arazzi consistono in una stampa su tela di seta e un ricamo su tela appesi ad uno speciale attrezzo fatto di legno e ottone, creato proprio per questa funzione.
Sarà presente in mostra anche un wall drawing realizzato usando vernice acrilica per rivestimenti interni. Con una sicura visione economica, l'astrazione è creata per suggerire con arguzia il retro di un dipinto il quale non è removibile dal muro su cui è disegnato, ma volge letteralmente il suo retro verso lo spettatore. Con ironia Brannon indirizza la comprensibile vulnerabilità che gli artisti incontrano quando si tratta di esporre il proprio lavoro al pubblico, mentre simultaneamente sposta la nostra attenzione verso le nostre aspettative quando ci rapportiamo ad un'opera d'arte.
Completa la mostra un'opera dallo stesso ambiguo intento, una scultura rappresentante un'area backstage. Creando una struttura di lattice sul muro, Brannon trasforma la galleria da spazio espositivo ad una sorta di spazio 'dietro le quinte', suggerendo che il punto cruciale di ciò che sta accadendo ci è inaccessibile. Ci troviamo in uno spazio privilegiato e allo stesso tempo in uno spazio rimosso dall'attualità.
Grandmothers
Inaugurazione: mercoledì 12 novembre 2008 dalle 19 alle 21
13 novembre - 10 gennaio 2009
martedì - sabato; 11-19
“Sto pensando ad un backstage. A modelle ed attori che si preparano mentalmente per la presentazione, facendo esercizi facciali e di respirazione. Di produttori che guardano il responso del pubblico al di là delle luci. Alle espressioni di annoiata indifferenza. Sto immaginando bende, barelle, cosmetici, tutta una sorta di metaforici clichés per l'inconscio. Pensando a ciò che significa passare ore e ore in analisi. Contando drinks e non calorie. Convinto che non impareremo mai. Quella soddisfazione è una debole motivazione”.
Matthew Brannon, 10/09/08
“In ogni caso, non saremo mai sicuri dove si trovi la fase centrale in questi lavori, cos'è centrale e cosa marginale, cos'è visibile e cos'è reso tale”.
Philip Monk, "More than you know" su Matthew Brannon.
Mercoledì 12 Novembre Giò Marconi presenterà la prima mostra personale in Italia di Matthew Brannon dal titolo Grandmothers. Saranno esposti nuovi lavori che comprendono un wall painting, una scultura, due arazzi e dieci stampe.
Dopo i primi, frustranti tentativi con la pittura, Brannon cominciò con consapevolezza a vagliare i limiti dell'arte e della grafica, creando delle stampe che imitavano la pubblicità allo scopo di far diretto riferimento alla vita cosmopolita contemporanea. In "Grandmothers" Brannon continua quest' esplorazione compiacendosi in particolare con questioni che riguardano l'ambizione e il compromesso.
Se si potesse identificare il nucleo soggettivo della pratica tortuosa di Brannon, questo consisterebbe proprio nelle stampe. Ognuna di esse, scrupolosamente realizzata in edizione unica, segue la semplice formula dell'accompagnare l'immagine al testo. Normalmente il ruolo del testo in questo genere di composizioni servirebbe a chiarire il significato dell'immagine, ma non è questo il caso di Brannon. Il testo invece complica e ostruisce l'interpretazione intuitiva. La nostra valutazione del significato della stampa conduce verso una lettura più psicologica, rivolta a soggetti come l'ansia di carriera, l'alcolismo, disavventure sessuali e la negazione. Le nostre elucubrazioni analitiche vengono presentate con immagini di passaporti, chewing gum, cosmetici, scarpe, bende. Un'altra parte in divenire del corpo del lavoro continua questa non definita divisione tra la decorazione e le belle arti sottoforma di arazzi. Gli arazzi consistono in una stampa su tela di seta e un ricamo su tela appesi ad uno speciale attrezzo fatto di legno e ottone, creato proprio per questa funzione.
Sarà presente in mostra anche un wall drawing realizzato usando vernice acrilica per rivestimenti interni. Con una sicura visione economica, l'astrazione è creata per suggerire con arguzia il retro di un dipinto il quale non è removibile dal muro su cui è disegnato, ma volge letteralmente il suo retro verso lo spettatore. Con ironia Brannon indirizza la comprensibile vulnerabilità che gli artisti incontrano quando si tratta di esporre il proprio lavoro al pubblico, mentre simultaneamente sposta la nostra attenzione verso le nostre aspettative quando ci rapportiamo ad un'opera d'arte.
Completa la mostra un'opera dallo stesso ambiguo intento, una scultura rappresentante un'area backstage. Creando una struttura di lattice sul muro, Brannon trasforma la galleria da spazio espositivo ad una sorta di spazio 'dietro le quinte', suggerendo che il punto cruciale di ciò che sta accadendo ci è inaccessibile. Ci troviamo in uno spazio privilegiato e allo stesso tempo in uno spazio rimosso dall'attualità.
EN
Matthew Brannon
Grandmothers
Opening: Wednesday, November 12, 2014; 7pm-9pm
November 13 - January 10, 2009
From Tuesday to Saturday, 11am-7pm
“I’m thinking of a backstage. Of models and actors mentally preparing themselves for presentation. Doing facial exercises and breathing routines. Of producers looking past the lights to the response of the audience. At the bored expressions of indifference. I’m imagining Band-Aids, stretcher bars, cosmetics, all sorts of metaphorical clichés for the unconscious. Thinking about what it means to have your back to someone. to spend hours in analysis. How someone’s ass looks in this or that. Worried we’ll never learn. Trying to remember what it was I was trying to say. Counting drinks and not calories.” – Matthew Brannon, 10/9/08
“However, we will never be sure where the centre stage is in these works, indeed, what is central and what peripheral, what is on view and what puts to view.” – Philip Monk, “More Than You Know” on Matthew Brannon.
On Thursday, the 12th of November, Gió Marconi Gallery is pleased to present Matthew Brannon’s first solo exhibition in Italy, “Grandmothers,” a show of all new work featuring a wall painting of a painting, a sculpture of a back stage, two new tapestries, and ten of his signature letterpress prints. After early, frustrated attempts at painting Brannon began to self-consciously test the limits of art and graphic design by creating prints that mimicked advertising in order to more directly address contemporary cosmopolitan lifestyle. In “Grandmothers” Brannon continues this exploration, humoring himself specifically with issues of ambition and compromise.
If one could identify the subjective core of Brannon’s somewhat oblique practice it would be the letterpress prints. Each painstakingly crafted print (an edition of one) follows a fairly straightforward formula, pairing images with text. Whereas normally the role of the text in such a composition would be to clarify the meaning of the imagery, with Brannon’s prints this is not the case – the text instead complicates, perverts and obstructs intuitive interpretation. Our evaluation of the print’s meaning is lead toward a more psychological reading, concerned with subject such as career anxiety, alcoholism, sexual misadventure and denial. Our analytical ruminations are presented with images of passports, chewing gum, cosmetics, shoes, and Band-Aids.
A separate ongoing body of work continues this blurred border between decoration and fine art in the form of tapestries. The tapestries consist of silkscreen printing and embroidery thread on canvas, hung on specially designed rigs made of wood and brass. Included is a wall drawing made using acrylic household paint. With a confident visual economy the abstraction is made to wittily suggest the back of a painting. The painting is not only not removable from the wall but literally has it’s back to us. Brannon, with tongue in cheek, addresses the understandable vulnerability that artists encounter when presenting work in public, while simultaneously drawing our attention to our own expectations when viewing art.
Completing the exhibition is an artwork of similarly ambiguous intent, a sculptural representation of a backstage area. By creating a lattice-like structure directly on the far wall Brannon transforms the gallery from a viewing space to a “behind-the-scenes” space, suggesting that the crux of what is happening is inaccessible to us. Where we are is both a space of privilege and a space removed from actuality.
Grandmothers
Opening: Wednesday, November 12, 2014; 7pm-9pm
November 13 - January 10, 2009
From Tuesday to Saturday, 11am-7pm
“I’m thinking of a backstage. Of models and actors mentally preparing themselves for presentation. Doing facial exercises and breathing routines. Of producers looking past the lights to the response of the audience. At the bored expressions of indifference. I’m imagining Band-Aids, stretcher bars, cosmetics, all sorts of metaphorical clichés for the unconscious. Thinking about what it means to have your back to someone. to spend hours in analysis. How someone’s ass looks in this or that. Worried we’ll never learn. Trying to remember what it was I was trying to say. Counting drinks and not calories.” – Matthew Brannon, 10/9/08
“However, we will never be sure where the centre stage is in these works, indeed, what is central and what peripheral, what is on view and what puts to view.” – Philip Monk, “More Than You Know” on Matthew Brannon.
On Thursday, the 12th of November, Gió Marconi Gallery is pleased to present Matthew Brannon’s first solo exhibition in Italy, “Grandmothers,” a show of all new work featuring a wall painting of a painting, a sculpture of a back stage, two new tapestries, and ten of his signature letterpress prints. After early, frustrated attempts at painting Brannon began to self-consciously test the limits of art and graphic design by creating prints that mimicked advertising in order to more directly address contemporary cosmopolitan lifestyle. In “Grandmothers” Brannon continues this exploration, humoring himself specifically with issues of ambition and compromise.
If one could identify the subjective core of Brannon’s somewhat oblique practice it would be the letterpress prints. Each painstakingly crafted print (an edition of one) follows a fairly straightforward formula, pairing images with text. Whereas normally the role of the text in such a composition would be to clarify the meaning of the imagery, with Brannon’s prints this is not the case – the text instead complicates, perverts and obstructs intuitive interpretation. Our evaluation of the print’s meaning is lead toward a more psychological reading, concerned with subject such as career anxiety, alcoholism, sexual misadventure and denial. Our analytical ruminations are presented with images of passports, chewing gum, cosmetics, shoes, and Band-Aids.
A separate ongoing body of work continues this blurred border between decoration and fine art in the form of tapestries. The tapestries consist of silkscreen printing and embroidery thread on canvas, hung on specially designed rigs made of wood and brass. Included is a wall drawing made using acrylic household paint. With a confident visual economy the abstraction is made to wittily suggest the back of a painting. The painting is not only not removable from the wall but literally has it’s back to us. Brannon, with tongue in cheek, addresses the understandable vulnerability that artists encounter when presenting work in public, while simultaneously drawing our attention to our own expectations when viewing art.
Completing the exhibition is an artwork of similarly ambiguous intent, a sculptural representation of a backstage area. By creating a lattice-like structure directly on the far wall Brannon transforms the gallery from a viewing space to a “behind-the-scenes” space, suggesting that the crux of what is happening is inaccessible to us. Where we are is both a space of privilege and a space removed from actuality.